Acri come l’Andalusia: segni tangibili di una globalizzazione fallita

Di Assunta Viteritti.
In un recente viaggio di lavoro ho avuto modo di scoprire analogie sorprendenti tra Acri (e altre parti del meridione, non volendo essere troppo campanilisti) e il sud della Spagna. Anche in questo caso ci troviamo davanti alla parte più povera del paese, in termini economici, dove più forte è la disoccupazione dei giovani, in generale, e delle donne in particolare. Ci troviamo davanti ad un paese che ha avuto alternanze politiche, ma anche di questo si sono accorti in pochi, forse solo gli omosessuali che oggi in Spagna possono coniugarsi (e non è poco!).

Dagli anni 90 in poi, nell’alternanza tra i governi di sinistra e poi di destra e poi di sinistra, la Spagna ha deciso che la sua piena modernizzazione sarebbe passata attraverso il mattone.


E da allora fino alla recente crisi finanziaria è letteralmente impazzita e ha pensato di costruire grattacieli grigi e case. Case dappertutto. Addensamenti urbani sulla costa, costruzioni nelle periferie, come se la popolazione spagnola si dovesse raddoppiare nel giro di una generazione, come se tutti gli europei, i tedeschi, gli svizzeri, gli inglesi e tutti gli abitanti del nord dell’Europa da un giorno all’altro avessero sicuramente deciso di trasferirsi in massa in Spagna, o comunque di acquistare una casa per le vacanze, o di avere un pied-à-terre dove passare qualche weekend all’anno. L’America’s Cup del 2010 ha fatto credere a costruttori e politici che la vela sarebbe diventata il volano principe del veloce sviluppo spagnolo. La Spagna di Zapatero è caduta nella trappola di un futuro visionario e perverso, investire negli immobili, costruire case e palazzi, investire con la finanza della crisi, investire con i derivati, investire con denaro irreale. Turismo e costruzioni, occupazione di aree rurali, espropriazione, queste le parole chiave dell’ultimo decennio!
Anche la calda Andalusia, per esempio, la zona della Spagna più mediterranea dell’Europa, e anche la meno ricca, è caduta nel vortice della bolla immobiliare. La costa Andalusa, quella delle corride e dei toreri, del flamenco, la costa della Luz, che si affaccia sull’Atlantico, sul Marocco, le colonne d’Ercole dello stretto di Gibilterra, oggi è in gran parte un ininterrotto flusso di cemento, una megalopoli priva di abitanti sulla costa dell’Oceano. Opere megagalattiche come il ponte nel golfo di Cadice (e come quello che per fortuna non si farà fra Reggio e Messina) dove solo i due piloni sono stati montati, monito di uno sviluppo vistoso e cieco che non ha realizzato se stesso ma solo il suo fallimento.
Poi cosa è successo? Gli spagnoli non sono raddoppiati di numero, gli europei non sono corsi in massa a vivere del miracolo economico della Spagna e Zapatero è stato sconfitto, le case svendute o invendute e i palazzoni delle periferie e della costa sono rimaste vuote. L’Andalusia è bellissima, preciosa, ma ha letteralmente fallito e il paese ora è in ginocchio, al centro delle grandi città non ti accorgi del disastro ma se ti sposti in una qualunque periferia sei abbastanza impressionato da palazzi enormi disabitati e case vuote, negozi chiusi e cartelli vendesi ovunque. Più venditori che acquirenti, c’è qualcosa che non va, i venditori oggi hanno bisogno di rientrare e cercano di svendere quello che hanno comprato da costruttori finanziati dalla cattiva politica e dalla finanza creativa e criminale, oceani di denaro ora ridotti a edifici nati brutti che il tempo non renderà più accettabili, anzi.
Ma a noi cosa importa dell’Andalusia? Niente, certo, a noi interessano solo i fatti nostri…ma perché non giocare di fantasia e pensare il sud dell’Italia, la stessa Calabria, per esempio, come il sud della Spagna?

Anche Acri negli ultimi  decenni ha scelto il mattone, le famiglie hanno ingrandito e alzato le case, i costruttori hanno disseminato il territorio, in modo caotico, di complessi edilizi privi di tutto, servizi, negozi, spazi verdi.

Hanno previsto solo cemento informe che ha mangiato il territorio, immaginando cosa poi? Un paese che si sarebbe miracolosamente ripopolato? E con quali mezzi, con quali risorse? Mica siamo i sassi di Matera! La politica, come in Andalusia, ha lasciato governare il territorio da costruttori privi di senso estetico, privi di etica del territorio, privi di cuore e…anche di testa (ma che volete, anche loro devono campare). Oggi Acri ha troppe case vuote e non perché la densità della popolazione sia diminuita – tra il 2001 e il 2010 il trend della popolazione è diminuito solo del 3,1%. Acri nel 2010 contava 21.228 abitanti, con un’età media di 42,9 anni. Gli unici a crescere, per fortuna, sono i cittadini stranieri, erano 29 nel 2005 ed erano 55 nel 2009 (e di questo dobbiamo rallegrarci!) Ci sono però altre cose che aumentano. I motocicli – 713 nel 2004 e quasi 1000 nel 2009 -, cresce il numero della auto, ovviamente! di più di 1000 unità in 5 anni. L’unico mezzo che non cresce di numero, ahimè, sono i motocarri (253 nel 2004 e 232 nel 2009). L’ape è un mezzo superato, ora ci sono i pick-up, anche se io personalmente, per motivi vari, l’amo moltissimo. La vera modernità ad Acri è arrivata con il motocarro, o la Lapa, come lo chiamano in Sicilia. Strumento di lavoro economico, versatile e maneggevole, e perché no, anche simpatico. Ha sfamato famiglie trasportando legna, mobili, menzine di maiali, vino, olio, frutta ed ortaggi, di tutto insomma. Un mezzo di trasporto a due posti meglio di una Smart, almeno ha un bagagliaio più ampio! Ma torniamo al mattone…ad Acri l’età media si alza, meno giovani che si sposano (nessuna bambina o bambino nascerà più ad Acri) e allora chi diavolo abiterà tutte queste case? Se si guarda il paese dal belvedere, da San Francesco, di sera all’imbrunire, vedi le tante luci sparse dei lampioni delle strade ma poche luci arrivano dalle case. Siamo più ricchi, piccoli proprietari di case che i nostri figli non abiteranno. Le famiglie ampliano le case, i costruttori hanno (rimane da capire come) i permessi per costruire, quartieri, palazzi. Gradualmente ci sono popolazioni che si spostano dalla zona vecchia verso le case di nuova costruzione e i quartieri del centro storico, già in parte disabitati, hanno gli anni contati. Maledetta assenza di fantasia culturale e politica!
Ma forse il principio delle tante nuove case non è del tutto negativo, a pensarci bene le case vuote sono il segno del desiderio di riempirle, ma si tratta di un desiderio che non si avvererà, non potrà avverarsi! I figli partiti per studiare o per cercare lavoro, il più delle volte con una laurea in tasca, non potranno più venire a vivere ad Acri. Ma non è neanche questo il problema, non siamo certo contro la mobilità professionale e intellettuale, ci mancherebbe altro. Solo che la sproporzione tra il numero di coloro che non vivono ad Acri (perché hanno scelto di non viverci o sono stati costretti a scegliere di spostarsi) e le troppe case vuote è inquietante. Insomma per chi sono state costruite queste case? Se chiude l’ospedale, se le infrastrutture urbane sono alla canna del gas, se le strade per raggiungere Acri sono quelle di un secolo addietro, o quasi. Se il centro storico non viene rivitalizzato e attualizzato, se le amministrazioni che si sono succedute negli ultimi decenni non hanno avuto in testa neanche una sola idea di sviluppo sensato (anzi, non avevano affatto idee di sviluppo quanto solo idee di interessi da soddisfare, singolarmente e velocemente). Se i giovani non hanno spazi vitali oltre ai bar e ai pub (che dal mio punto di vista svolgono un ruolo pregevole per la socializzazione, più della scuola…viva i bar, i pub, i locali, pensate se domani dovessero sparire, poveri giovani!), insomma per chi sono quelle case?

Genitori, meditate, forse meglio investire in studio e cultura che in case destinate ad essere vuote? Forse è meglio investire in figli che lavoreranno in università italiane ed europee, in imprese multinazionali, in efficienti ospedali, in organizzazioni internazionali, che alzare case che resteranno incompiute o vuote, tanto i figli andranno fuori ugualmente.

Acri ha bisogno di intelligenze e di creatività e non di metri cubi inutili!
Si potrà invertire tale tendenza? Oggi manchiamo di rappresentazioni del futuro, non solo ad Acri, questo è un problema globale. I politici? Poveri loro, poveri disgraziati, non hanno fantasia, non hanno intelligenza creativa, sono imprigionati in corpi senza coraggio e senza bellezza, corpi che ostentano superbia, che parlano di un futuro che non sono in grado di immaginare, figuriamoci di costruire! Ma, diciamoci la verità, lo sappiamo bene, la responsabilità non è solo dei politici, è soprattutto di ogni singolo cittadino, di ogni famiglia che ha usurpato il territorio, che ha costruito sui letti del fiume e sulle frane, che non ha dismesso l’amianto dai tetti, che non vive l’ambiente come la propria sala da pranzo ma piuttosto lo tratta peggio del proprio cesso… ma perché dovremmo avere dei politici migliori di noi. Non facciamoci illusioni, non ci sarà un nuovo governo della città che invertirà la tendenza, non potrà esserci, non ci sono le teste e i corpi per pensare un futuro diverso, o se ci sono non si vedono.
Cosa vogliamo dal futuro se lo abbiamo già mortificato?

Comments

  1. Del resto Zapatero vuol dire “scarparo” nel senso dispregiativo del termine.

  2. E’ il quadro anche del mio paese d’origine, preciso, in provincia di Crotone. Aggiungerei dalle mie parti presenze parassitarie umane, che svolgono la loro funzione deleteria. Come dire, non ci facciamo mancare niente. Sono d’accordo con te che non ci si può aspettarsi un’amministrazione, un sistema di anticorpi davvero forte contro la malavita, per esempio, con una popolazione che finora, per un motivo o per un altro, ha tirato a campare senza domandarsi sulle conseguenze delle proprie abitudini. Ho sempre pensato che una volta finita l’università, noi laureati avremmo cambiato le cose ritornando con idee più evolute. Avendo potuto maturarle con una visione a distanza, e grazie a nuovi strumenti intellettuali. In realtà questo non avviene, chi può scappa. Io scrivo dalla Lombardia. Ma c’è un dato, proporre idee nuove in quei paesi, almeno nel mio, è come gettare un sassolino nel mare. Si sollevano poche gocce e subito dopo ritorna tutto come prima. Inghiottito da una “mentalità” radicata che vuole che davvero tutto cambi (centri commerciali, ultima tecnologia, mode e tendenze consumistiche spesso mutuate dai programmi televisivi, paesaggio deturpato, …), perché tutto rimanga com’è sempre stato (truffe alla sanità, malavita organizzata, favori al posto di diritti, …).
    Il dato, secondo me, è proprio questo, ovvero la cultura radicata, che non può essere considerata semplicemente un sottoprodotto della storia. In realtà è la protagonista, l’artefice di tutto. Ed è anche sicurezza, come la consuetudine, l’usanza, il pensare collettivo uguale rispetto a una certa cosa. Insomma, voglio dire che non basta, e spesso non serve, fare denunce. La difficoltà di abbandonare quel modo di pensare potrebbe risiedere nel senso di appartenenza, di identità, e di sicurezza che per le persone rappresenta. Accanirsi non solo non serve, ma può essere controproducente, in quanto le persone possono chiudersi ancora di più, vivendo il vero cambiamento come minaccia (il cambiamento, quello vero, può fare paura, scuote, mette di fronte a un baratro senza garantire a priori la fornitura delle ali). E’ ovvio che la cultura viene in aiuto, quando non è pippologia da salotto, potendo aprire a nuovi orizzonti, avere strumenti e proporre alternative che tengano conto delle difficoltà realistiche, e anche per recuperare valori autentici tradizionali (per non buttare via il bambino con l’acqua sporca). Sono portato a considerare la storia dei paesi come la storia di persone, con avanzamenti, arresti, eccetera. Penso che la Calabria debba prioritariamente liberarsi di un bel complesso d’inferiorità in cui si è fatta cacciare. Il calabrese, spesso, fuori regione, sembra dimostrare di averlo compensando. Oppure, il politico calabro ai massimi livelli, in un contesto nazionale non è in grado di spiccicare due parole in italiano. Eccetera. I media non aiutano a sfatare questa immagine di ultima ruota del carro, presentando quasi esclusivamente notizie che ci mettono in cattiva luce. Passando sotto silenzio gli esempi di resistenza e grande civiltà che ci sono eccome… e il vittimismo è un’altra delle cose da superare …

  3. caro Libero says, grazie del tuo commento, le storie si annodano, si somigliano. Si è vero come dici tu “è come gettare un sassolino nel mare. Si sollevano poche gocce e subito dopo ritorna tutto come prima”, ma ti ricordi che bello lanciare i sassolini nel mare, è un gioco infantile ma è anche una sfida, siamo contenti quando riusciamo a farli rimbalzare, una o più volte. Le parole non cambiano le cose ma dipende anche dalle parole che si dicono e si scrivono. Pane & Rose è un sassolino che vogliamo imparare a far rimbalzare, se ti va di mandarci tue storie magari quel sassolino rimbalza di più. Grazie ancora, a presto.
    ciao

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